Tendinite alla Spalla
 

TENDINITE ALLA SPALLA

Tendiniti, tendinosi, tendinopatie… in qualunque modo li si voglia chiamare, i quadri patologici che coinvolgono i tendini sono disturbi estremamente comuni, e possono colpire sia soggetti sedentari sia sportivi, causando in alcuni casi dolore e impotenza funzionale, e influendo negativamente sulle attività quotidiane lavorative, ricreative e sportive. Ancora oggi accade molto spesso che sintomatologie legate alle tendinopatie siano avvolte da dubbi e confusione, e che vengano di conseguenza malinterpretate e gestite con trattamenti poco efficaci basati sul riposo e su terapie passive.

Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha analizzato approfonditamente l’eziologia e le caratteristiche dei disturbi tendinei, facendo notevoli passi avanti e rivoluzionando quella che era l’attuale concezione di questi ultimi. Per molto tempo, infatti, le tendinopatie sono state considerate come un processo patologico di natura prevalentemente infiammatoria… ma siamo sicuri che sia così? Quali sono le cause delle tendinopatie? Quali i rimedi e i tempi di recupero? E Scopriamo cosa ci dice la letteratura scientifica a riguardo, analizzando le tendinopatie del complesso anatomico della spalla.

Che cos’è la tendinite alla spalla?

Per capire in cosa consiste un disturbo tentindeo dobbiamo necessariamente aver prima compreso cosa è un tendine e quale è la sua funzione. In poche parole, il tendine è l’unità muscoloscheletrica deputata alla trasmissione di forze dai muscoli alle ossa attraverso l’accumulo e il rilascio di energia. Il ruolo dei tendini è di fondamentale importanza, per cui lesioni e processi patologici che ne pregiudichino la funzionalità hanno spesso un notevole impatto negativo sulla vita quotidiana di chi ne soffre.

La morfologia dei tendini è molto variabile in base alla dimensione, al ruolo e al posizionamento del muscolo dal quale prendono origine. Muscoli molto voluminosi e potenti possiedono solitamente tendini larghi e corti, mentre i muscoli più piccoli e deputati a movimenti più precisi e regolati hanno spesso tendini più lunghi e sottili. Il tendine si collega al muscolo attraverso una sua porzione definita “giunzione muscolotendinea”, mentre il punto in cui si inserisce sull’osso è chiamato “giunzione osteotendinea”.

Disordini tendinei possono verificarsi in diversi distretti muscolari del corpo, ma i più comuni sono quelli a carico della spalla (nello specifico, a carico dei muscoli della cuffia dei rotatori e del capo lungo del bicipite brachiale), del piede (tendine di Achille, tendini dei muscoli peronei e tibiali), del gomito (muscoli estensori e flessori del carpo), dell’anca (muscoli adduttori, ischio-crurali, medio e piccolo gluteo) e del ginocchio (tendine rotuleo).

Le tendinopatie sono processi patologici degenerativi intrinseci del tendine, caratterizzate da alterazioni strutturali e funzionali a carico di quest’ultimo, che analizzeremo più dettagliatamente nei paragrafi successivi. Le tendinopatie della cuffia dei rotatori, in particolare dei muscoli sovraspinato e infraspinato, e del capo lungo del bicipite brachiale (che si inserisce nel margine superiore della fossa glenoidea, attraversando l’articolazione gleno-omerale e stringendo intimi rapporti con la cuffia dei rotatori) rappresentano il quadro patologico che più di frequente è responsabile del dolore di spalla (la letteratura parla di circa l’80% dei casi).

Studi recenti hanno evidenziato come processi degenerativi tendinei di grado più o meno avanzato siano presenti praticamente in chiunque, tanto da essere spesso considerati un fisiologico “segno d’invecchiamento” allo stesso modo dei capelli bianchi e le rughe sulla pelle. In diversi casi le alterazioni tendinee sono asintomatiche e non è presente dolore (a conferma dell’estrema complessità e multifattorialità dei processi di elaborazione del dolore, e di quanto sia indispensabile correlare sempre gli esami strumentali ai quadri clinici attraverso un adeguato ragionamento clinico).

Tuttavia, in molte altre situazioni le tendinopatie possono causare dolore e impotenza funzionale, la cui intensità può variare in base a diversi fattori tra cui il grado di irritabilità tissutale, il carico ricevuto, fattori genetici, fattori psicosociali ecc… In questi casi il dolore ha solitamente manifestazioni e caratteristiche tipiche: spesso insorge lentamente, senza un trauma apparente, e si presenta ben localizzato nella zona anteriore, laterale o posteriore della spalla. È evocato durante i movimenti attivi a carico della spalla, in particolare oltre i 90° di flessione (sollevamento anteriore del braccio) e/o abduzione (sollevamento laterale del braccio), durante attività di sollevamento e talvolta durante il sonno sul lato interessato.

Si può assistere di frequente al fenomeno del “Warm up effect (effetto riscaldamento)”, che prevede che nei casi di tendinopatia il dolore vada diminuendo man mano che si svolge una certa attività sportiva/allenante, fino anche a scomparire, per poi tuttavia ripresentarsi qualche ora dopo o la mattina seguente, con intensità spesso più elevate. Nelle fasi più acute e irritative il dolore può presentarsi anche durante banali attività di vita quotidiana, riducendo di molto le capacità funzionali di tutto l’arto superiore.

Fra le varie cause delle tendinopatie, quella più importante e provocativa sembra essere l’aumento di carico sul tendine troppo poco graduale: in tutti i quadri di tendinopatia, infatti, se si indaga la storia del soggetto che ne soffre si può identificare quasi sempre un’attività “non ordinaria” che ha sottoposto il tendine ad un carico per il quale non è stato abituato, e che spesso può innescare un processo tendinopatico.

Nelle tendinopatie il riposo totale (ad eccezione di fasi molto acute e con alta irritabilità) è deleterio quanto il sovraccarico, in quanto non si fornisce in questo modo alcuno stimolo di adattamento positivo al tendine, che tornerà così a provocare dolore quando verrà sottoposto nuovamente al carico. I principi riabilitativi prevedono un sovraccarico progressivo, fornendo alla spalla via via stimoli sempre maggiori per riabituarla e rieducarla al movimento e al carico.

Va specificato che in questo contesto ci riferiamo alle tendinopatie, riconosciute in quanto tali come disturbi “intrinseci” del tendine, e che si differenziano da altri possibili patologie tendinee come le tenosinoviti (processi patologici a carico della guaina sinoviale del tendine) e le lesioni tendinee vere e proprie. Quando parliamo di lesione/rottura del tendine (parziale o massiva) ci riferiamo a una discontinuità macroscopica della struttura.

Sintomi della tendinite alla spalla

I sintomi più comuni nelle tendinopatie della spalla sono il dolore e l’impotenza funzionale, la cui intensità può essere molto variabile. Il dolore ha tipicamente un esordio lento e in assenza di un vero e proprio trauma che lo possa giustificare, inizia spesso senza un apparente motivo e va via via peggiorando (fase acuta) per poi stabilizzarsi (fase cronica).

È generalmente profondo, molto localizzato, più tipicamente anteriormente, posteriormente o lateralmente sulla spalla (nell’area dei quattro tendini della cuffia dei rotatori), in un’area ristretta che non irradia mai oltre l’inserzione del deltoide. È un dolore acuto, sordo, descritto come uno  “spillo” o qualcosa “che punge nella spalla”, o ancora come un dolore “a fitta” come una pugnalata, e intermittente, evocato e riprodotto ogniqualvolta si esegue un determinato movimento o esercizio.

I movimenti che tipicamente possono evocare questo tipo di dolore sono l’abduzione e/o la flessione, ma talvolta anche l’intrarotazione o l’extrarotazione di spalla. Oltre al dolore, può esserci crescente debolezza, riduzione del ROM e (raramente) lieve gonfiore locale. In alcuni casi, specialmente nelle fasi più acute e irritative, anche le attività di vita quotidiana e il sonno sul lato interessato possono causare dolore ed essere limitate.

Quanto può durare una tendinite alla spalla? Quali sono i tempi di guarigione?

In letteratura si afferma che per recuperare da una tendinopatia servano mediamente 12 settimane (a condizione che vengano rimossi gli stimoli dannosi e che vengano al contrario inseriti input che promuovano il recupero). Va tuttavia chiarito che questo intervallo temporale è variabile e influenzabile da una moltitudine di fattori (per esempio in caso di recidiva o di presenza di patologie concomitanti si parla di un’aumento temporale fino anche a 24 settimane) e che una percentuale di pazienti, seppur piccola, potrà andare incontro ad una cronicizzazione del dolore.

Il grado di irritazione tissutale, gli stimoli a carico dei tendini e le caratteristiche genetiche e psico-sociali possono influenzare enormemente il tempo necessario alla guarigione, e in molti casi la sintomatologia dolorosa tende a svanire anche prima delle suddette 12 settimane.

Come si cura la tendinite della spalla?

Una volta analizzate le possibili cause di tendinopatia, quali sono i possibili rimedi per una corretta gestione? Partiamo col dire che un corretto trattamento dovrà necessariamente essere contestualizzato in base alle caratteristiche e alla storia del soggetto, alla tipologia di quadro patologico e alle attuali capacità funzionali.

In letteratura è oramai pienamente concorde nell’affermare che l’esercizio terapeutico con sovraccarichi graduale e progressivo è il trattamento più efficace per le tendinopatie. Qualsiasi trattamento quindi dovrà basarsi principalmente sull’esercizio attivo, riadattando in questo modo le capacità di carico del tendine (o delle porzioni “sane” del tendine, in caso di fasi avanzate di tendinopatia degenerativa).

Per quanto riguarda il dolore alla spalla durante gli allenamenti causato dalle tendinopatie, alcune strategie utili, sia in ottica preventiva che riabilitativa, sono le seguenti:

  • Rispetto delle corrette esecuzioni degli esercizi, specie negli esercizi più soggetti al dolore di spalla come la Panca Piana, il Lento Avanti e le Alzate Laterali. Dovranno essere preferite varianti con il più basso fattore di rischio possibile, e sarà fondamentale il costante mantenimento di un corretto assetto scapolare durante gli esercizi.
  • Evitamento/limitazione di linee di movimento dolorose, ricercando temporaneamente piani di movimento e ROM non dolorosi, per poi tornare gradualmente agli schemi motori originali quando il dolore sarà svanito.
  • Evitamento/limitazione di serie a cedimento e/o tecniche ad alta intensità
  • Rispetto della gradualità nella programmazione e nella progressione dei parametri allenanti, evitando (in casi di dolore) lavori a cedimento e serie lunghe e forzate, prediligendo invece lavori con un discreto buffer.
  • Inserimento di esercizi specifici finalizzati alla correzione delle eventuali disfunzioni articolari e muscolari riscontrate con un’apposita valutazione. Rientrano in questa categoria esercizi di rinforzo/resistenza/performance muscolare (spesso necessari per i muscoli della cuffia dei rotatori e per alcuni muscoli periscapolari come il trapezio medio e inferiore o il gran dentato), esercizi di allungamento muscolare e/o capsulare, esercizi di mobilità ed esercizi di propriocezione.

Terapie e trattamenti per la tendinite della spalla

Quali altri tipologie di trattamento, oltre all’esercizio, vengono proposte per le tendinopatie della spalla? Cosa dice la letteratura a riguardo? Per quanto riguarda le terapie fisiche, il loro utilizzo nel trattamento riabilitativo per le tendinopatie non è consigliato dalla letteratura. Queste, infatti, non sono in alcun modo in grado di modificare la capacità di carico del tendine, e attualmente esistono poche evidenze di qualità che ne dimostrino e consiglino l’utilizzo.

Per ciò che concerne la terapia manuale, alcuni studi hanno evidenziato come il trattamento manuale della spalla e del torace sia in grado di ridurre il dolore e migliorare la funzionalità nel breve termine. I miglioramenti associati alla terapia manuale non sono tuttavia riconducibili ad un effetto biomeccanico, ma ad effetti neurofisiologici e psicologici. In breve, quindi, la terapia manuale può rappresentare un valido aiuto nel piano riabilitativo, ma il focus principale dovrà sempre essere sull’esercizio terapeutico con sovraccarichi.

E il riposo? È ormai verità inconfutabile che il riposo e/o l’immobilizzazione nelle tendinopatie non sia efficace, e che sia deleterio. Questo perchè un tendine immobilizzato non avrà alcuno stimolo che generi conseguenti adattamenti positivi come l’aumento della capacità di carico, la riorganizzazione cellulare e la sintesi di collagene.

Alcuni studi hanno dimostrato che dopo due settimane di immobilizzazione la sintesi di collagene nei tendini viene ridotta notevolmente, e che la disposizione delle fibre collagene diventa casuale e disorganizzata, peggiorando la capacità funzionale del tendine (è infatti il carico che permette alle fibre di disporsi in maniera ordinata). L’immobilizzazione, per di più, aumenta la produzione di alcuni enzimi responsabili della degradazione del collagene. Quindi in caso di tendinopatia non bisogna mai e per nessuna ragione restare a riposo? Non proprio.

In situazioni molto acute accompagnate da dolore molto elevato e presente anche nel quotidiano, può essere necessario un breve periodo di riposo, ma in un contesto in cui il soggetto resti comunque attivo e apporti possibilmente un minimo di carico sulla struttura, rispettando il dolore e la sintomatologia affinchè resti tollerabile. È poi importante sottolineare che dopo un periodo di inattività sarà fondamentale evitare aumenti improvvisi del carico (che potrebbero portare a processi tendinopatici), la cui progressione dovrà essere graduale.

La chirurgia invece? Per quanto riguarda le tendinopatie della cuffia dei rotatori non esistono ad oggi prove a favore della superiorità dell’intervento chirurgico rispetto alle terapie basate sull’esercizio. I risultati dei trattamenti basati sugli esercizi appaiono infatti efficaci al pari di quelli ottenuti mediante chirurgia. Sulla base di questi dati gli autori sostengono che gli interventi chirurgici nelle tendinopatie doverevvero essere considerarti solo dopo l’eventuale fallimento del programma di esercizi basato sul carico, proseguito per un tempo di almeno 12 mesi, o nei casi in cui il soggetto con dolore non sia stato in grado di tollerare in alcun modo il carico progressivo degli esercizi.

Anche le infiltrazioni non si sono rivelate migliori della fisioterapia a medio termine; anzi, i corticosteroidi sembrano avere effetti deleteri sui tendini nel lungo termine.

CONCLUSIONI

In qualunque caso è sempre fondamentale affidarsi a professionisti del settore, affinchè attraverso una valutazione iniziale si possa trovare l’origine della sintomatologia e programmare un percorso indicato al soggetto. L’esercizio terapeutico rispetto l’evidenze scientifiche siano il punto di partenza e quasi raramente, solo in fasi acute si necessità di riposo, in altre circostanze la soluzione rimane il movimento fatto nella maniera corretta e graduale.

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